VITA E POLITICA
Vita e politica non rappresentano certamente i termini di una dicotomia. Anzi per quanto questo possa sembrare forse paradossale l’una (la politica) rappresenta una componente assolutamente necessaria per l’altra. Non c’è vita dunque senza politica. Ciò nonostante, l’edificazione del nostro moderno individualismo sembrerebbe suggerirci tutto il contrario. Oggi davvero la realtà è diventata un tutt’uno con il capitalismo e questo non testimonia null’altro che una certa immutabilità del sistema. Come dire: un altro mondo non è davvero possibile. E neanche immaginabile. Questo è l’unico scenario a cui, volenti o nolenti, dobbiamo per forza di cose rapportarci per fare il punto della situazione. Il problema è che oggi la nostra vita è inequivocabilmente limitata esclusivamente all’ambito del privato. Ciò che intendo dire è che davvero non si riesce più a vivere in una qualche dimensione che sia politica, ed anzi sembra piuttosto che questa non abbia in noi più alcuna importanza. Ma non è così. E proprio in virtù di questo non può che riemergere prepotentemente (in questi tempi come in qualsiasi altro), quell’esigenza frustrata di ridare un significato politico alla propria vita: politicizzarla appunto. Per quanto soffocato infatti il “voler vivere politico” rimane un inestirpabile ed inalienabile istinto che è proprio dell’essere umano. Affermare di voler politicizzare la propria esistenza significa perciò solamente rivendicare ciò che ad essa è stato negato. Ciò che occorre è quindi spezzare le forti catene dell’individualismo borghese e guardare al di là dei vincoli che questa nostra realtà ci impone. Direbbe bene Wenceslao Galan: “il ricatto della realtà è quello di rinchiudere ciascuno di noi nei limiti della propria vita”. Ma la vita politicizzata altro non è che la vita che consapevolmente dice no a questo ricatto. La vita che vuole tornare a vivere e che vuole vivere ancora. La vita che resiste al senso comune. La vita che “buca la realtà” e che in ogni nuovo buco rivendica se stessa.